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Giovanna Melandri, a nudo

19 - 09 - 2007

Il ministro Giovanna Melandri, in alcune interviste recenti, ha dichiarato che bisogna privatizzare gli stadi italiani. In pratica: toglierli alle comunità per cederli alle SpA del pallone. Il ministro, ancora una volta, si dimostra perfettamente in sintonia con la Lega Calcio, tanto da sembrarne un mero referente (come lo fu Giuseppe Pisanu). Antonio Matarrese, presidente della confindustria del pallone, è molto esplicito: privatizzare gli impianti e costruire strutture commerciali. Questo vogliono gli imprenditori dal calcio (per guadagnare sempre di più), e questo la Melandri (Ministro per le Politiche Giovanili e le Attività sportive) vuole dargli. Ma per dare a loro (pochi), dovrà togliere a noi (il Paese): aree, ricchezza, simboli e monumenti delle comunità; gli stadi italiani. E questo è proprio quello che fanno abitualmente i politici contemporanei (di destra e di sinistra): tolgono al Paese per regalare a chi detiene il potere economico.
La cosa curiosa è che la Melandri è presentata, da un circuito compiacente e interessato, come un ministro deciso a contrastare le politiche anti-sociali dei potenti del pallone. Addirittura, come l'esponente del Governo che potrebbe aiutare ultras e tifosi a riottenere i diritti perduti. Follia pura? No, una strategia ben precisa. Si adottano politiche che favoriscono i potenti, ma le si spacciano per iniziative sociali. Si scrivono leggi anti-ultras, ma si parla di toglierle. Si vietano striscioni e bandiere ma si dice d'amare il tifo «colorato e scatenato». Si vota in Parlamento a favore della repressione, ma poi si dice che si è contrari. La doppiezza tipica degli uomini del nostro sistema, che favoriscono i potenti ma si sforzano di conservare il consenso popolare (o meglio: i voti).
In agosto la Melandri dichiarava che si sarebbe impegnata a chiedere al ministro Giuliano Amato (Interni) di rivedere le disposizioni sugli striscioni emanate dall'Osservatorio Nazionale sulle Manifestazioni Sportive. In parole povere: il divieto per tamburi, impianti audio e megafoni, sarebbe comunque rimasto; forse sarebbe stato ripristinato il diritto ad esporre liberamente gli striscioni. Premesso che ad oggi rimaniamo senza diritti, ciò è bastato (a qualcuno) per propagandare il ministro come una nuova e coraggiosa Giovanna d'Arco, che avrebbe guidato gli ultras verso la libertà. Ma la "Pulzella d'Orleans" italica non sembra guidata da Dio, ma dagli industriali del pallone.
Le norme anti-tifo dell'Osservatorio Nazionale sulle Manifestazioni Sportive, ovvero: i divieti per striscioni, bandiere, megafoni, tamburi, impianti audio, coreografie, ecc., derivano da un emendamento introdotto dal Senato al decreto Melandri-Amato, a cui NESSUN POLITICO votò contro (fu poi cancellato da una commissione della Camera).
In quei giorni andava particolarmente di moda la "tolleranza zero" con ultras e tifosi. In pieno clima di "caccia alla streghe" neppure un partito, neppure un movimento, neppure un senatore, si schierò dalla parte del DIRITTO. E tanti ipocriti li seguirono, vendendosi come sgualdrine; senza orgoglio, senza lealtà e senza stile. Gli stessi che oggi cercano di riciclarsi.
Ad alcuni mesi di distanza il ministro Giovanna Melandri, tra gli artefici del decreto anti-ultras più repressivo e barbaro della storia, ha fatto sapere che si sarebbe mosso per farci restituire alcuni (ma solo alcuni) di quei diritti civili che ha contribuito a sottrarci, avvallando l'applicazione di norme anticostituzionali che interessano un campo che è anche di sua competenza (politiche giovanili e sport).
Qualcuno, forse perché affetto da una gravissima forma di sindrome di Stoccolma, o forse (più probabilmente) perché ha interessi più vicini a quelli del ministro che a quelli di ultras e tifosi, ha pensato bene di fargli tanta buona propaganda.
Dopo la morte di Filippo Raciti, per giustificare la soppressione del tifo e della libertà d'espressione negli stadi, il ministro Melandri raccontò al Paese che "bisognava pur far qualcosa". Come se vietare striscioni e bandiere, tamburi e megafoni, coreografie e colori, servisse a risolvere i grandi problemi sociali di Catania, della Sicilia, o addirittura di tutt'Italia.
Ma poi, chi uccise veramente l'ispettore capo Filippo Raciti? Nonostante la censura di molti media, c'è anche l'ipotesi che sia stato accidentalmente investito (come scritto da L'Espresso) dal fuoristrada dei suoi stessi colleghi. Di sicuro, ad oggi (e sono passati 7 mesi), non si sa ancora la verità. Ebbene: il decreto Melandri-Amato fu varato dopo soli 5 giorni, quando la conoscenza dei fatti era ancor più approssimativa. Un tempo record, sfruttando e pilotando l'indignazione popolare, per arrivare ad applicare una legge (su misura agli interessi degli industriali del pallone) e le norme dell'Osservatorio Nazionale sulle Manifestazioni Sportive, quelle che la Melandri difese come necessarie, e che assicurò non avrebbero proibito il tifo «colorato e scatenato» (perché il tifo va bene, purché sia allineato agli interessi dei potenti). Norme (guarda caso) proposte dalla Lega Calcio (per censurare e disgregare il libero tifo degli ultras indipendenti), che il Parlamento non ha neppure avuto il coraggio di chiamare "Legge".
Noi chiedevamo giustizia, per tutti. Loro sfruttavano ignobilmente la morte di un uomo, per fare gli interessi degli imperi economici che occupano il calcio.
Oggi, noi continuiamo a chiedere giustizia, per tutti. Loro chiedono di privatizzare gli stadi e di costruirvi strutture commerciali.
Il re è nudo, con tutti i suoi amici e tutti i suoi servi.

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