BOYS PARMA 1977

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Nascita, storia ed evoluzione del movimento ultras italiano
Dibattito ultras: Dalle origini alle leggi speciali

16 - 06 - 2007

Dibattito ultras: Dalle origini alle leggi speciali

"Nascita, storia ed evoluzione del movimento ultras italiano"
Relatore: Boys Parma 1977.

Segue resoconto sommario.

Per comprendere perché, in un determinato momento della storia italiana, si manifestano realtà ultras, è necessario analizzare i principali fenomeni (tutti interconnessi tra loro) che determinano questa genesi: il calcio italiano, il tifo calcistico italiano, la società italiana.
Il gioco del calcio arriva in Italia tra la fine del 1800 e gli inizi del 1900. Lo si importa dall'Inghilterra e prende subito piede. Il calcio deve il suo successo all'essere uno sport per tifosi, al riuscire a rappresentare l'identità (fortissima) dei mille popoli che compongono il nostro giovanissimo Paese. Nella prima metà del '900 la lingua italiana non è ancora molto diffusa e nei vari comuni si parla il dialetto (l'italiano si imporrà dopo la Seconda Guerra Mondiale, grazie ai mezzi di comunicazione e alla scolarizzazione di massa). Le squadre portano i colori delle città e rappresentano tradizioni radicate, mentre le partite fanno vivere rivalità storiche.
La passione genera tifo. Fin dagli albori del calcio italiano si ha notizie di cori (sporadici) d'incitamento. Già negli anni '20, specie in trasferta, i tifosi indossano fazzoletti e coccarde per rimarcare la propria presenza. Gli spettatori aumentano progressivamente, e in talune occasioni superano i 10.000.
La grande partecipazione emotiva dei tifosi può portare allo scontro fisico. In generale: la violenza nasce in campo e coinvolge chi sta sugli spalti. Quando il tifoso vede i propri alfieri picchiarsi con gli avversari, interviene per dargli manforte. L'invasione di campo è quindi una pratica molto comune, talvolta anche a seguito di decisioni arbitrali non condivise.
Il 5 luglio 1925, in occasione della finale interregionale (non esiste ancora il campionato a girone unico) tra Genoa e Bologna, i tifosi delle due squadre si scontrano alla stazione torinese di Porta Nuova. Vengono addirittura esplosi alcuni colpi di pistola che feriscono, fortunatamente in modo lieve, due persone.
Il calcio fa muovere i suoi appassionati. Il 16 giugno 1929 4.000 napoletani vanno in trasferta a Roma (per Lazio-Napoli, scontro salvezza), e il 23 giugno 1.000 laziali vanno a Milano per (Lazio-Napoli).
Già negli anni '30 si registrano incidenti sugli spalti e si parla di non disputare alcuni incontri per motivi di ordine pubblico. Gli spettatori, in occasioni particolari, arrivano anche a quota 30.000.
Il tifo è spontaneo, assolutamente disorganizzato. Le accese rivalità sono preesistenti gli incontri di calcio e si fondano sul campanile. Sono i derby, dove scazzottate e occhi neri sono una tradizione secolare.
Tra gli anni '40 e '50 nascono i "circoli". I tifosi si organizzano sul territorio (dove si frequentano nel dopo-lavoro, generalmente nei bar), dando vita ad associazioni che, tra i compiti principali, hanno quello di stimolare la gente ad andare allo stadio (in casa e in trasferta). Attività che fa felici le società sportive che, tra le altre cose, hanno come unica fonte di guadagno la vendita dei biglietti dello stadio. I circoli, per colorare gli spalti ed esplicitare la loro presenza, utilizzano gli striscioni (allora chiamati "bandieroni"). Sono nei colori sociali e riportano il nome dell'associazione (che fa riferimento al territorio: via, quartiere, bar o circolo).
Negli anni '50, almeno in alcune realtà, i circoli che tifano la stessa squadra iniziano a collaborare tra loro, fino a riunirsi organicamente in appositi centri (centri di coordinamento).
Il numero di tifosi aumenta progressivamente e si costruiscono stadi sempre più grandi. A Roma, all'Olimpico, si contano anche 70.000 persone.
In alcune interviste a tifosi (a cavallo degli anni '50-'60), si parla di scontri secondo "codice cavalleresco" (ancora inteso come sinonimo di coraggio e lealtà). Il codice cavalleresco era quell'insieme di regole che un gentiluomo doveva osservare in caso di una vertenza d'onore e, eventualmente, nel corso del duello che poteva seguirne. Vale la pena ricordare che il codice cavalleresco fu il modello culturale di riferimento fino alla fine del 1800, prima dell'avvento della legge moderna (contemporanea).
Il 28 aprile 1963 si registrano i primi atti vandalici legati ad una partita. I napoletani, a Modena, devastano le strutture dello stadio (simbolo della società canarina) causando ingenti danni.
Il crescente numero di appassionati, la possibilità di spostarsi da una città all'altra più velocemente (anche con mezzi privati), permette ai tifosi d'andare in trasferta, anche in città lontane. Nascono così nuove rivalità.
Verso la fine degli anni '60 molti circoli mutano il nome in "club". Il tifo inglese è visto come un modello a cui ispirarsi, per la passione e per il colore che sa esprimere.
Gli scontri tra opposte fazioni di tifosi aumentano e, sempre più spesso, non hanno attinenza con ciò che accade in campo, ma con ciò che accade (o è accaduto) sugli spalti. Nelle cronache dell'epoca s'inizia a parlare di sassaiole e di duelli ad ombrellate.
A fine anni '60, nel periodo della contestazione al sistema, lo stadio è teatro di una vera rivoluzione giovanile. I giovani tifosi vogliono vivere lo stadio in un modo diverso e lo fanno. Abbandonano padri e fratelli maggiori, e si riuniscono tra loro, occupando fisicamente le aree più popolari degli impianti. Sono gruppi autonomi e cercano d'incitare la squadra con costanza e con fragore, con cori e bandiere al vento. Un modo di vivere lo stadio che spesso infastidisce i tifosi tradizionali (anni dopo, nel '77, i primissimi scontri dei BOYS saranno proprio con altri parmigiani, in difesa del diritto di tifo). Questi primi gruppi non sono ultras, perché il fenomeno ultras non è ancora nato. Sono i pionieri di un nuovo microcosmo, e rivoluzionano il modo di vivere lo stadio. A Parma un'esperienza simile sarà vissuta (anni dopo) con il gruppo dei Danè.
Solo alcuni gruppi autonomi di giovani tifosi muteranno, nel corso degli anni, in gruppi ultras. Uno di questi è la "Fossa dei Leoni", nata nel 1968 come club (di giovani tifosi autonomi), ed evolutasi in gruppo ultras.
Nel 1969 i doriani si danno il nome "ultras". E' un termine francese, che indica un sostenitore intransigente della monarchia assoluta durante la Restaurazione, e che al plurale fa "ultras". Deriva dal latino "andare oltre", ed è utilizzato dai media per indicare gli estremisti (politici) a cavallo degli anni '60-'70.
Negli anni '70 le città italiane straripano di ragazzi, figli dell'industrializzazione del Paese, della migrazione interna, del boom demografico ed economico. Grandi cambiamenti, interni ed esterni, modificano radicalmente la nostra società, creando anche forti attriti. Ci si picchia nelle piazze, ma anche nelle discoteche, nei bar e nei quartieri. Una situazione vissuta anche a Parma, dove si manifesta una forte rivalità tra i quartieri più nuovi e popolari.
La violenza dilaga nel Paese e la contrapposizione politica arriva alla contrapposizione armata.
Allo stadio, verso la metà degli anni '70, si manifestano le prime realtà ultras. Alcuni sono gruppi pre-esistenti di giovani tifosi autonomi che si sono evoluti, altri sono di nuova formazione. Sono gruppi estremisti, che tifano attivamente per la squadra e combattono per i colori sociali.
Contro la politica della contrapposizione che insanguina la nazione, gli ultras riscoprono i valori dell'aggregazione. Molto spesso, in essi: giovani e giovanissimi di fedi politiche opposte si incontrano, si conoscono, si confrontano, si comprendono e convivono. Gli ultras non sono quindi l'inizio di un processo di disimpegno, ma l'evoluzione e la maturazione di una gioventù stanca di demonizzare il diverso (colui che non si riesce ad accettare), stanca di una cultura di morte (che propaganda l'uccisione del diverso).
Molti gruppi ultras riprendono cori, sigle e slogan dalla politica (che in quegli anni caratterizza ogni ambito della società), ma li svuotano del loro contenuto e gliene danno uno nuovo.
Non di rado, osservando foto o documentari dell'epoca, si vedono ragazzi che ostentano gestualità politiche opposte, ma che convivono pacificamente nello stesso gruppo.
Negli anni '70 fare politica è ancora di moda e chi la fa, militando attivamente in qualche organizzazione, snobba generalmente chi va allo stadio. Si fa politica in ogni campo e lo stadio è visto come una zona franca, dove vivere altre passioni. Oltre a questo: la giovanissima età degli ultras (in quegli anni la stragrande maggioranza è tra i 13-17 anni) ne impedisce (generalmente) un impegno diretto in organizzazioni politiche. Una situazione completamente diversa dall'attuale. Oggigiorno i gruppi ultras hanno i loro "vecchi", l'età media s'è notevolmente innalzata, e certe ideologie (ghettizzate nella società italiana contemporanea) si manifestano allo stadio (almeno in alcune realtà), come nel disperato tentativo di sopravvivere.
Il tifo italiano degli anni '70 è il prodotto di tante influenze, nazionali ed estere (generalmente inglesi e sudamericane), contemporanee e antiche, sportive ed extra-sportive, innovative e tradizionali. Gli ultras espongono striscioni e bare, secondo la tradizione italiana del tifo calcistico, ma sui loro striscioni spiccano nomi nuovi. Utilizzano una particolare simbologia, fatta di teschi e altri emblemi di guerra. Insultano gli avversari con enormi falli, cori e scritte spesso minacciose. Impiegano fumogeni e bandieroni, carta igienica, sciarpe e tamburi.
Gli stadi sono scarsamente presidiati dalla polizia, impiegata massicciamente su altri fronti: terrorismo, criminalità organizzata, violenza politica.
La violenza negli stadi, dopo l'avvento degli ultras, continua ad essere prevalentemente disarmata. Ma con il trascorrere degli anni aumentano gli episodi di violenza e l'utilizzo delle armi da taglio. Tutto questo raggiunge l'apice negli anni '80, gli anni del riflusso e del boom del calcio italiano.
I gruppi abbandonano progressivamente lo spontaneismo ed iniziano a strutturarsi ed organizzarsi come vere e proprie associazioni. Le curve si riempiono di nuovi giovani ed essere ultras diventa una moda. Questo processo, stimolato da un radicale cambiamento della società italiana, permette a molti gruppi ultras di lievitare numericamente. Ma tale crescita è spesso figlia di scelte superficiali e temporanee, della nuova cultura dell'apparire, e non della condivisione di quella mentalità (ultras) alla base del movimento, collante indispensabile per mantenere unito il singolo gruppo.
I giovani che affollano le curve, a partire dalla fine degli anni '80, appartengono (in linea di massima) a generazioni che non sanno socializzare, che non sanno stare insieme, che non vivono più una forte identità collettiva. Così, proprio nel momento di massima espansione (numerica) dei gruppi ultras (anni '80), inizia la polverizzazione dei medesimi.
Nel 1993 arriva la pay-tv nel calcio italiano e i tifosi cessano d'essere la principale fonte (diretta) di ricavo per le società. Il potere economico/politico decide di trasformare il calcio da sport per tifosi ad evento per spettatori e tele-spettatori (consumatori). Per favorire il "calcio moderno" (la cui validità, anche solo economica, è tutta da dimostrare) si varano nuove leggi e nuove norme (spesso anti-costituzionali), giustificandole pretestuosamente con la cosiddetta "violenza negli stadi". Mentre prima, anche in presenza di fatti di sangue, si cercava semplicemente d'applicare la legge, dal 1994 s'iniziano a sfornare provvedimenti legislativi sempre più repressivi. Gli obbiettivi sono evidenti: disgregare il tifo organizzato e indebolire il senso d'appartenenza al territorio, per un calcio (senz'anima) libero di seguire il mercato.
Colpiti dalla repressione e dalle logiche del "calcio moderno", gli ultras iniziano ad osteggiare tali politiche.
Il 29 gennaio 1995, a Genova, muore Vincenzo Spagnolo, ultras genoano accoltellato da uno sparuto gruppo di tifosi milanisti. E' un fatto estremamente tragico ma genera qualcosa di positivo. Tantissimi gruppi ultras si trovano, parlano e discutono, fino a produrre un documento unitario che definisce e consolida l'ideologia ultras, fissando delle regole ben precise: gli scontri devono essere leali e senza armi da taglio.
Nel corso degli anni sempre più agenti sono impiegati a presidiare gli stadi e a controllare gli ultras. Impediscono alle opposte fazioni di venire a contatto; scortano, seguono e perquisiscono; concretizzano le norme repressive prodotte dal Parlamento (solitamente su indicazione della Lega Calcio); e talvolta abusano del loro potere, facendola sempre franca. Tutto questo genera, inevitabilmente, forti attriti con i gruppi ultras. Calano così gli scontri tra gruppi, ma aumentano quelli con le forze dell'ordine.
Molti gruppi ultras che caratterizzano i primi anni 2000, esercitano un'importante funzione sociale sul territorio. In una società sempre più individualista ed egoista, riescono ad aggregare stabilmente centinaia di giovani. Hanno sedi, stampano e distribuiscono fanzine, organizzano coreografie, sventolano bandiere, dirigono il tifo con impianti audio e megafoni, suonano tamburi, accendono fumogeni, e difendono il più sacro dei loro simboli: lo striscione del gruppo.
Questo è il "modello italiano" del tifo. Cresciuto e vissuto insieme a migliaia di ultras italiani. Un modello in antitesi al post-"modello italiano" elaborato a tavolino dai ministri Amato e Melandri, ed imposto a mezzo di leggi e norme anti-costituzionali. Nuove regole per reprimere sommariamente gli ultras, per disgregare i gruppi e ridurli al silenzio. Questo chiedeva la confindustria del pallone, questo la politica gli ha dato, ispirandosi al cosiddetto "modello inglese". O meglio: a ciò che rimane del calcio inglese, il "calcio moderno inglese".

Dibattito ultras: Dalle origini alle leggi speciali

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