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Documento Associazione "Ragazzi di Stadio"

28 - 03 - 2007

Pubblichiamo qui di seguito il testo portato dai ragazzi di Sport People alla Melandri (ministro per le politiche giovanili e le attività sportive). Ci complimentiamo con l'associazione "RAGAZZI DI STADIO" per avere saputo sfruttare l'occasione nel migliore dei modi, portando all'attenzione dei ministri giuste critiche e consigli sulle norme del nuovo decreto, facendogli notare che le nuove restrizioni non serviranno ad eliminare la violenza, ma solo a reprimere la passione e a cambiare il nostro modo di andare allo stadio. Non sono certo norme che serviranno a combattere la violenza, come dicono questi ministri, ma solo ad eliminare il tifo organizzato, a dare una risposta immediata ad un opinione pubblica desiderosa di "divieti" per sentirsi sicuri. Chi le appoggia, chi le sostiene è un ipocrita ed un illuso, per questo non condividiamo per nulla la linea sostenuta davanti alla Melandri dai ragazzi del Settore Crociato, che troppo presto hanno rinnegato tutte le loro esperienze di Curva vissute negli anni.
La repressione continua non serve a nulla, ci rispecchiamo in tutto e per tutto nel documento qui riportato, sotto il quale avremmo messo la nostra firma senza problemi. Questo è stato senz'altro un intervento propositivo che i ministri dovrebbero leggere e ragionare, fino a capire che non serve un nuovo modo di tifare, il "modello italiano" esiste già ed è quello che migliaia di ragazzi di diverse generazioni hanno vissuto e vivono, da più di trent'anni, nelle Curve del nostro Paese.
VIVERE ULTRAS PER VIVERE

"RAGAZZI DI STADIO" è un'associazione culturale fondata nel 2003 con lo scopo di promuovere attività culturali, informative, ricreative come argomenti principali lo sport e la passione sportiva. Particolare attenzione è stata rivolta allo studio ed alla divulgazione dei valori, dei linguaggi e delle vicende del mondo del tifo organizzato, poiché riteniamo che vada valorizzata e fatta conoscere all'opinione pubblica la sua funzione di aggregazione, di elaborazione culturale, di creazione di luoghi e momenti di partecipazione attiva.
Noi pensiamo, principalmente perché lo abbiamo vissuto o ancora lo viviamo in prima persona, che indossare una sciarpa colorata e sgolarsi per 90 minuti non siano sinonimo di pericolosità sociale o addirittura delinquenza: ultras è anzittutto aggregazione, socializzazione, impegno disinteressato, spirito e mentalità non omologate ai (peggiori) valori dominanti nella società attuale. O, per meglio dire, pensiamo che dovrebbe essere tutto questo, ma sappiamo bene che anche all'interno del nostro mondo ci sono problemi e contraddizioni aperti.
Le nostre energie sono state dedicate soprattutto alla realizzazione di una rivista on-line settimanale, SPORT PEOPLE, mediante la quale abbiamo cercato di rappresentare gli ultras per come sono e per come ci piacciono, di raccontarne le vicende passate e di attualità, affrontando anche argomenti impegnativi come repressione e calcio-business.
Il nostro punto di vista è certamente di parte, dunque diverso da quello proposto dai grandi mass-media, ma sempre motivato e riscontrabile. Non è un caso se, giusto per fare un esempio, il malaffare dentro ed intorno al nostro calcio gli ultras non lo hanno scoperto qualche mese fa, ma lo denunciavano da anni. Ma noi eravamo "brutti, sporchi e cattivi" e le nostre denunce, al pari di quelle contro un sistema repressivo al di fuori di ogni logica realmente democratica, hanno sempre fatto poca strada, anche perché mal si conciliavano con gli obiettivi di tutti quei soggetti (e sono tanti: dalle società alle televisioni, dalle istituzioni sportive a quelle economiche, e nemmeno la politica ne è immune) che hanno visto e vedono nel calcio un mezzo come altri per fare affari, solo affari, sporchi affari.
In questi anni abbiamo riscontrato un elevato interesse all'interno del mondo del tifo, inversamente contrario a quanto, purtroppo, abbiamo ottenuto a livello di istituzioni quando abbiamo cercato di organizzare momenti di confronto, riflessione, dialogo, o anche semplicemente abbiamo chiesto che venisse ascoltato un punto di vista diverso, certamente più poliedrico e problematizzante dei soliti stereotipi "ultras=delinquente, violento e rifiuto della società".
Eravamo invisibili o scomodi quando proponevamo questo?!
Oggi, dopo quello che è accaduto a Catania, siamo saliti, nostro malgrado, al centro dell'attenzione. Oggi, nostro malgrado, sappiamo che agli occhi dell'opinione pubblica il mondo di cui ci sentiamo parte integrante, quello delle curve e degli ultras, è assimilato ad una realtà criminale a tutti gli effetti.
Non ci stiamo.
E' vero, negli ultimi anni i contrasti sono diventati muri insormontabili ma tutto questo anche perché la logica seguita, ha fatto del controllo,della repressione e, spesso, dell'abuso,i suoi cavalli di battaglia instaurando fra ultras e forze dell'ordine un progressivo odio causa dei tanti, troppi feriti che ogni domenica si sono contati nelle file dei sostenitori più accesi, ferite che si sarebbero potute evitare se ci fosse stato un dialogo, uno scambio di idee proficuo non solo nel giorno della partita ma durante tutto l'arco del campionato. Per stemperare il clima occorrerebbe rivedere il criterio che inspira la repressione, lo stesso criterio che permette a certa stampa di dipingere l'ultras come il solito sottoacculturato, assetato di sangue e violenza che la domenica crea il panico tra gli abitanti di questa o quella cittadina. Quando poi si legge che la violenza è nei campi di terza categoria, dove giocatori e dirigenti inseguono un arbitro, magari appena maggiorenne, che non ha fischiato un rigore grosso come una casa. La violenza è nei tornei giovanili dove i genitori arrivano alle mani per dei ragazzini (pardon, futuri campioni, alcuni fuoriclasse) che frequentano ancora la scuola dell'obbligo. La violenza è negli studi televisivi dove si arriva ad offendere un collega di lavoro perché ha un'idea diversa dalla tua. E allora i violenti sono gli ultras o tutto il sistema calcio deve trovare nuovi codici di comportamento? Nelle ultime settimane è stata invocata la sportività, bel termine sul quale tutti siamo d'accordo; ma è sportivo il calciatore che crolla a terra rotolandosi sul terreno di gioco come fosse stato colpito dal peggiore dei boxeur? E' sportivo l'attaccante che a mezzo metro dal portiere in uscita, si lascia cadere in area girandosi subito verso l'arbitro in attesa del sacrosanto rigore? Sono esempi di sportività le risse sul terreno di gioco a cui partecipano 10-15 atleti, panchinari compresi (Champion's docet)? E' sportivo un dirigente che, a distanza di 24 ore, continua ad esternare la sua rabbia minacciando querele contro il direttore di gara? E allora, se è tutto il sistema ad essere malato, perché sul banco degli imputati si trovano solo gli ultras, ingiustamente accusati di tutti le nefandezze del calcio italiano?
Consapevoli che in questa sede le intenzioni del tavolo di lavoro sono quelle di conoscere e sviluppare le "buone "pratiche", noi, come Associazione "Ragazzi di Stadio", non possiamo rimanere indifferenti a tutto ciò che è accaduto ed è stato prodotto sull'onda degli incidenti di Catania. La nostra esperienza come associazione e come singoli elementi nasce, cresce e si è rafforzata all'interno delle curve degli stadi italiani, a diretto contatto con i gruppi ultras, talvolta all'interno degli stessi come attivi protagonisti della vita del tifo. Dal nostro vissuto e dal nostro modo di vedere e concepire il mondo del calcio, non ha senso parlare di tifo se non in relazione con il mondo Ultras, cultura che dagli anni Settanta ha catalizzato e raccolto la vita e le esperienze di migliaia di giovani che si sono contraddistinti per la loro voglia di protagonismo. Protagonismo autoregolamentato, un'esperienza che sull'onda delle rivoluzioni culturali del 68 e del 77, ha dato a giovani donne e giovani uomini la possibilità di libera espressione. Il mondo ultras era ed è rimasto uno dei pochi momenti dove adolescenti, giovani e meno giovani, riescono ad avere possibilità di libera comunicazione attraverso canali inconsueti, cori, simboli, e gesti ripetitivi riescono a trovare momento di aggregazione che fa dell'amicizia e della passione punto cardine da cui si parte e si arriva, in un continuo scambio reciproco che non evita mai lo stallo ma fa della curva un cantiere in perenne movimento.
Per noi, criminalizzare e dunque tentare di annientare il mondo ultras significa sminuire e depredare il calcio di una sua componente ma soprattutto significa limitare, reprimere e vietare a migliaia di giovani di poter continuare un ipotetico progetto iniziato da generazioni passate, che li vede protagonisti attivi di un'esperienza unica e irripetibile in qualsiasi altro ambito della vita. Proprio nella consapevolezza di ciò, analizzando il nuovo decreto, ci siamo trovati di fronte a norme che, nella loro impostazione ci sembrano fortemente limitative, fortemente coercitive, senz'altro ben più radicali di ipotetiche altre "norme speciali" a contrasto di crimini di tutt'altro genere e pericolosità sociale. Norme che, più che per migliorare la situazione degli stadi, sono indirizzate a far sparire del tutto il mondo ultras dall'universo del calcio, non considerando l'energia dirompente (ma non necessariamente violenta) ed aggregativa che tale movimento riesce a sprigionare, non considerando di fatto che si distruggerà una delle poche realtà create, gestite e vissute a piene mani da parte dei giovani italiani.
Il risveglio dopo la drammatica serata di Catania ha certo trovato tutti spaesati di fronte ad un evento sicuramente tragico che ha avuto per protagonista un esponete delle forze dell'ordine. Dopo il giusto tempo del lutto ma anche dell'inutile sensazionalismo mediatico, dei salotti buoni pieni di tuttologi improvvisati che fanno di ogni evento un vuoto momento di gazzarra, ci siamo trovati di fronte a nuove regole concepite in pochi giorni e dettate sicuramente dall'emergenza contingente.
Il nuovo decreto all'articolo 1 comma 1 ripercorre le linee del già vigente regolamento accelerando in modo inconsueto e forse troppo azzardato, la messa in funzione di tornelli, gabbie e sale-controllo, con il rischio di creare difficoltà soprattutto economiche alle casse dei Comuni italiani proprietari della gran parte degli impianti ed impossibilitati a trovar fondi nell'immediatezza di una notte. Certo si possono obbligare le Società di calcio ma, a parte i grandi club che comunque hanno da sempre preferito la gestione comunale a quella privata, le piccole e medie società di calcio troveranno le risorse per adeguarsi alle nuove norme non potendo ad oggi, contare neppure sugli introiti della vendita biglietti? Come si è già visto, per accelerare la riapertura degli impianti si è fatto ricorso alle amministrazioni che si sono accollate parte dei lavori per favorire, nell'accesso agli impianti, gli onesti cittadini che avrebbero voluto seguire la propria squadra. Le nuove aperture agli abbonati e le nuove deroghe concesse in casi straordinari vista la logistica di alcuni impianti, non vanno forse contro le nuove norme che improvvisamente si sono trovate inadeguate e soprattutto troppo dirette? Noi non discutiamo l'utilità di tornelli e gabbie se sono concepiti come elementi filtranti che impediscono l'ingresso allo stadio dei "portoghesi" di turno ma certo non sono i tornelli ad essere la panacea di tutti i mali e forse, proprio per questo, la loro introduzione poteva essere, così come già prevista, graduale e meno improvvisata.
Ma il nuovo decreto introduce provvedimenti ben più consistenti e di portata superiore che nella sostanza minano profondamente le possibilità di movimento di una tifoseria e, nella fattispecie, dimezzano e tranciano in modo irreversibile la possibilità di espressione del mondo ultras. Ci riferiamo all'introduzione del divieto di vendita dei biglietti in blocco alle società ospitate cosi come previsto dall'articolo 1 comma 2.
Questo provvedimento limita la mobilità dei tifosi delle squadre ospiti, impossibilitati ad acquistare i tagliandi del loro settore direttamente nel proprio territorio urbano. Considerate le distanze fra le varie città italiane rappresentanti le compagini di calcio, la tifoseria ospite non ha la possibilità di ottenere un biglietto in anticipo, e di più non ha neppure la possibilità di muoversi verso la città ospitante in quanto senza tagliando non si raggiunge lo stadio. Un gatto che si morde la coda...
Inutile ricordare a tutti che il momento della trasferta tra organizzazione, logistica e preparazione è uno dei cardini fondanti la vita di un gruppo. È nella trasferta che legami amicali e relazioni si condensano in emozioni, ricordi, esperienze delle quali parlare, discutere fino allo sfinimento. Inutile ricordare come la trasferta, analizzata anche da illustri sociologi italiani ed europei, rappresenti un'esperienza atavica e simbolica densa e ricca di significati, nella quale si definiscono ruoli e si rafforzano interdipendenze che fanno di una singola persona un elemento di qualcosa più grande, il gruppo, che aiuta a sviluppare le proprie attitudini e capacità. Le nuove norme sono studiate per impedire tutto questo, rifugiandosi sotto la difficile gestione del movimento dei tifosi, movimento ricordato solo come momento per "ripetuti fenomeni di violenza" senza mai, neppure lontanamente, pensare cosa significhi la trasferta per il tifoso che decide di voler semplicemente seguire la propria squadra in un'altra città per assicurare ai giocatore colore e calore abbattendo il "fattore campo".
Le parole dal viceministro Minniti riportate nelle pagine del quotidiano Il Manifesto il 7/03/07 ci lasciano sconcertati. Ritenere che la trasferta sia solo un mero movimento di gente e numeri non dà ragione ad anni, decenni, fin dagli albori del calcio, nei quali la trasferta è stata per tutti, non solo ultras, momento significativo di aiuto e sostegno ai propri colori. Basti pensare ai grandi movimenti delle tifoserie delle compagini neopromosse, alle folle al seguito di una squadra così detta provinciale che, improvvisamente, si trova a dover giocare in uno dei templi del calcio, alla grande forza che il pubblico può infondere alla propria squadra e gli appelli dei vari presidenti e giocatori per aver pubblico al seguito sono un esempio tangibile. Le nuove norme falsano in partenza l'ambiente dello stadio costringendo la squadra ospite a non aver tifosi al seguito o, nella condizione migliore, costringono i tifosi a grossi sacrifici per trovare un tagliando disponibile magari ingrassando le laute tasche dei gestori telematici. Tutto ciò non agevola certo il ritorno delle famiglie allo stadio. Sono gli ultras che allontanano i nuclei familiari oppure è prettamente un discorso economico? Siamo sicuri che con gli attuali stipendi percepiti in Italia, con il lavoro sempre più precario, il costo di quattro biglietti di curva, o settore popolare, non incidano pesantemente sul budget familiare? Facciamo un conto veloce: due biglietti ridotti, prezzo onestissimo 10 euro cadauno, e due interi, facciamo 15 euro (prezzo basso, provare per credere), totale: 50 euro, per una partita di 90 minuti, magari sotto la pioggia in un impianto iper-controllato ma poco funzionale. Se si intraprende la strada segnata dal nuovo decreto a questi problemi si sommerà la difficoltà di reperire un biglietto d'ingresso sia per gli ultras che per le famiglie che troveranno naturale soluzione alla loro passione , davanti alla mitica televisione che trasmette dal lunedì alla domenica, a tutte le ore, ogni sorta di incontro calcistico. Una vera manna per gli appassionati, a poche lire (pardon, euro) si può vedere il meglio del meglio, senza aver accanto il rompiscatole di turno, senza la persona davanti che si alza per esultare, senza la bandiera di quei "cattivoni" degli ultras che ti ostacola la visuale per qualche secondo, senza quella noiosa coreografia magari usata per spot televisivi, senza poter discutere e magari litigare con il vicino, senza inveire contro il "povero" assistente arbitrale che una volta si chiamava guardalinee incapace di vedere un fuorigioco di 10-15 centimetri, insomma, senza le emozioni che solo l'essere presente può dare. Se da una parte proclami e dichiarazione d'intenti, mirano ad invogliare le famiglie ad accorrere allo stadio, con la nuova normativa, di fatto, si limita la possibilità di accedere agli impianti rendendo problematica la ricerca del biglietto.
Inoltre, come ultima considerazione, non è meglio anche per le forze dell'ordine avere già prima dell'inizio della vendita dei biglietti, la possibilità di conoscere il numero esatto di tagliandi disponibili, perché direttamente ceduti alla società ospitata come avveniva in passato, così da seguirne direttamente la vendita nelle città di riferimento e poter anche meglio organizzare la logistica del trasporto tifosi e dei loro spostamenti? Non è meglio avere sott'occhio la situazione essendo direttamente presenti sul campo e conoscendo in anticipo le mosse e gli acquisti dei biglietti da parte della tifoseria ospite, così da far rientrare il problema trasferta in una questione che ogni questura gestisce all'interno del proprio territorio? Con questo interrogativo, che speriamo trovi risposta, auspichiamo una revisione del provvedimento ed il ripristino della vendita tagliandi o tramite la società ospite oppure predisponendo canali di vendita diretti, come tra l'altro avveniva già in precedenza, nella città della squadra ospitata, per agevolare l'acquisto dei tagliandi da parte dei tifosi e meglio organizzare le trasferte nella certezza di avere presenti un numero sicuro e certo di persone che muovono da una città all'altra in gruppo e diretti tutti nello stesso settore dello stadio.
Un altro articolo del provvedimento ci pone di fronte ad una questione a nostro avviso importante e che, così come posta, crea precedenti che dovrebbero far drizzare le orecchie a tutti i cittadini. Si tratta dell'introduzione, con tanto di dichiarazioni in pompa magna, delle prescrizione dell'articolo 7-ter dove viene descritta e annunciata la così detta "diffida preventiva". L'articolo chiama tale procedimento "misure di prevenzione personale anche a persone indiziate di..." ma nella fattispecie si tratta del classico DASPO che può, da oggi, essere notificato anche a persone che non sono riconosciute colpevoli di reato, ma solamente indiziate di reati e quindi solo presupposti colpevoli. Nel nostro ordinamento giuridico si è innocenti fino a che tre gradi diversi di giudizio non hanno dimostrato il contrario, mentre l'introduzione di tale norma, che basa un provvedimento restrittivo della libertà personale solo sulla presenza di indizi e congetture, crea un precedente a nostro avviso pericoloso se venisse applicato anche ad altri ambiti della vita sociale.
Ora, ammesso che non è certo nelle intenzioni del legislatore usare lo stadio come banco di prova per provvedimenti pilota, ci viene il dubbio del perché introdurre tale norma: cosa hanno i reati da stadio di così diverso ed incomprensibile rispetto a quelli commessi in altri ambiti? La presupposizione, l'indizio non è certo prova, e tutti sanno quanto, anche nella giustizia ordinaria, un processo indiziario sia di difficile iter e spesso i gradi di giudizio ribaltano le varie sentenze. Per altri reati, anche gravissimi, si attende il terzo grado, per i reati da stadio basta la presupposizione indiziaria: fanno davvero tanto paura i tifosi? Non crediamo, non ce ne è ragione. Il DASPO ha già mietuto tante vittime e negli scorsi anni molti di questi provvedimenti, dopo un ricorso opportunamente presentato, si sono rivelati privi di fondamento così da essere inficiati. La cosa ridicola ma grave è che l'iter del ricorso ha sempre avuto la stessa durata della diffida, così che il tifoso ha scontato il suo periodo di limitazione della libertà nonostante poi venga riconosciuto estraneo ai fatti per i quali era stato condannato.
La diffida, il gergo usato per indicare il DASPO, colpisce il tifoso nella sua passione più grande e vieta l'ingresso allo stadio dove gioca la squadra del cuore. Per non dire poi che la diffida, accompagnata alla firma doppia durante primo e secondo tempo, fa si che tutta la vita sociale del tifoso venga distorta. La doppia firma ogni qualvolta che la squadra del cuore gioca, obbliga il tifoso ad presentarsi nella questura di riferimento proprio per apporre un autografo che segnali la sua non presenza allo stadio. Forse nelle intenzioni del legislatore si voleva avere la certezza che il provvedimento venisse applicato ma, per converso, non si è pensato al fatto che, il tifoso, già limitato dal non poter avvicinarsi allo stadio, per tre anni è condizionato nei propri movimenti di libero cittadino. Organizzare le vacanze, decidere di andar a trovare un amico oppure una semplice cena fuori, se coincide con una partita della propria squadra, divengono impegni da declinare o programmare con lauto anticipo al fine di una comunicazione alla questura che comunque deve verbalizzare e autorizzare. Oppure una malattia, un impossibilità contingente o, e qui nascono i veri problemi, un impegno, un turno di lavoro. Lo spezzatino che il calcio-tv ci ha consegnato propone partite tutti i giorni e a tutte le ore ed è facile che lavoro e calcio combacino. Pensate ad un ragazzo o una ragazza che deve assentarsi dal lavoro per apporre una firma in questura oppure che deve farsi fare dal proprio datore un attestato di presenza, insomma non è certo un'agevolazione nel precario mondo lavorativo attuale. Se a tutti i disagi che già il DASPO comporta, si aggiunge anche la nuova normativa che lascia di fatto ai funzionari di pubblica sicurezza la possibilità e la discrezionalità di segnalare e notificare al tifoso solo su indizi (NON PROVE) una diffida viene da se che la situazione si complica ulteriormente lasciando sempre aperto il capitolo della presupposizione di colpevolezza, già labile in precedenza. Indizio, circostanza, presunzione hanno davvero lo stesso orientamento che guida da sempre il nostro stato le cui norme giuridiche si sono sempre mosse lungo le linee del garantismo?
Se si facesse valere per tutti la norma della presupposizione e del semplice indizio per giudicare colpevole una persona, la libertà personale diverrebbe un optional veramente di lusso, le carceri si riempirebbero, inficiando l'indulto, e magari si svuoterebbe anche il nostro amato Parlamento che fra onorevoli e senatori inquisiti, indagati e magari già colpiti da sentenza sfavorevole, non godrebbe certo di buona sorte. Sulla base di queste considerazioni chiediamo che sia rivisto l'articolo 7-ter del decreto al fine di dare nuovo orientamento al provvedimento del DASPO, per ricondurre i reati da stadio al pari degli altri e far vigere per le sanzioni e norme lo stesso spirito che identifica le leggi promulgati per altri reati, perché solo chi è colpevole e riconosciuto tale, sia sanzionato e solo ai colpevoli vengano inflitte pene e limitazioni della libertà e non a discrezione e solo su elementi indiziari o presupposizioni più o meno improvvisate.
Contestiamo dunque senza mezzi termini la volontà di perseguire un'intera categoria sociale a prescindere dalle responsabilità individuali e chiudiamo questa nostra contestazione ai contenuti del nuovo Decreto chiedendo ai nostri parlamentari come si sarebbero sentiti se, negli anni di piombo, la loro militanza, quand'anche un pochino agitata, fosse stata equiparata alle pistolettate ed alle bombe che hanno insanguinato il nostro Paese...
Di più: non crediamo che aggiungere repressione a repressione risolverà il problema della violenza dentro e fuori gli stadi. Possibile che ancora oggi nessuno (o quasi) si interroghi sul fatto che la repressione scientifica, spesso illegittima ed incostituzionale di questi ultimi 15 anni altro non ha fatto che alzare un muro di odio tra gli ultras (che pagano in quanto tali, a prescindere dalle loro eventuali cattive azioni) e lo Stato, rappresentato fisicamente dalle Forze dell'Ordine? Ma non ci avevano garantito, volta per volta, che le varie (cinque!!!) leggi speciali emanate avrebbero definitivamente risolto il problema del tifo violento? E allora che risultati hanno dato l'abolizione dei treni speciali, le diffide, il divieto di accendere un fumogeno, il biglietto nominale, la legge sugli striscioni violenti?! Perché non capire che a quella strada, cieca eppure percorsa sempre oltre, occorreva sostituire altri metodi, a cominciare dal dialogo e dall'ascolto del mondo del tifo?
Gli Ultras hanno indubbiamente tante colpe, noi stiamo con quegli Ultras che riconoscono certi errori, si sono assunti le proprie responsabilità ed oggi sono pronti ad assumersene di nuove per evitare che, davvero, non si ripeta più nulla di tanto grave. Con loro vogliamo combattere la violenza sconsiderata perchè amiamo questo sport e la sua forza di aggregazione. Siamo pronti, da Ultras e con gli Ultras, a pagare anche oltre le nostre colpe, ma passare come il Male Assoluto non solo del mondo del calcio ma dell'intera società italiana, ebbene ce ne passa...
Fermarsi è stato giusto, ma il baraccone già riparte e le bastonate alla fine arrivano sempre ai soliti, maledetti ed indifendibili ultras. I Presidenti starnazzano per ricominciare come se nulla fosse, come se il problema non li riguardasse: del resto a quanti di loro fa persino comodo non avere più gli ultras tra i piedi, gli stessi ultras che magari hanno avversato e contestato (cosa ben diversa dal ricattare) certe loro pratiche speculative...
Inutile dire che i primi a pagare saranno proprio i ragazzi che si prendono più responsabilità nelle curve e nei gruppi, i ragazzi che in questi anni non hanno accettato in silenzio gli abusi (e quanti!) immotivati da parte delle Forze dell'Ordine ed il malaffare, quelli che "disturbavano i manovratori" del calcio italiano, e che manovratori: Carraro, Moggi, Matarrese... dobbiamo continuare?! Ops, ma di cosa ci lamentiamo... siamo o non siamo Campioni del Mondo?!
Invitiamo tutti, in primo luogo i nostri politici, così attenti a tranquillizzare l'ondata di moral panic, a fare molta attenzione, perché queste nuove norme, oltre che essere ingiuste per i motivi già esposti, rischiano di elevare all'ennesima potenza la violenza.
Certamente una larga parte di Ultras, proprio perché cervelli pensanti, donne e uomini veri, si chiamerà fuori dalla "guerra totale": anche questo vorrà dire avere mentalità. Ma ci saranno frange, più o meno manovrate, più o meno controllabili, che avranno campo aperto per le loro azioni delinquenziali: spazzato via il folclore delle bandiere ed i canti della curva, verrà avanti la logica della coltellata a tutti i costi, della bomba carta, della bottiglia molotov e forse anche peggio. Questo perché, una volta debellati i gruppi ultras organizzati, vigerà l'anomia ed ognuno si accaparrerà il diritto di far ciò che crede meglio, ignorando quella regolamentazione non scritta,ma conosciuta,che invoca al rispetto e alla lealtà e che ha evitato, o magari cercato di evitare, la degenerazione di alcune azioni.
Noi non chiediamo, non abbiamo mai chiesto, impunità: chiediamo giustizia. Pene anche più dure per chi approfitta dello stadio per compiere dei reati, ma che vengano scontate dopo un normale processo: basta con i DASPO a tradimento, no a quelli preventivi.
Torniamo a chiedere alle Istituzioni di interrogarsi seriamente sul fatto che le curve rappresentano da quasi quarant'anni un luogo ed un momento di aggregazione per decine di migliaia di ragazzi e ragazze che qui, e non più altrove (partiti, oratori, ecc.), hanno trovato e trovano stimoli e possibilità di crescita, partecipazione, socialità. Se si vogliono davvero evitare nuove tragedie, senza distinzione di colori e di divise, è necessario ripartire da qui, dalle forze positive, talvolta forse troppo esuberanti, che sprigiona il mondo ultras.
Pensare invece che si voglia cancellare con la forza una storia lunga trent'anni ci provoca una tristezza ed una rabbia immense, e ci chiediamo che senso possa avere, almeno per noi "Ragazzi di Stadio" parlare di "buone prassi" in un, nemmeno troppo ipotetico, stadio in cui all'ultras viene di fatto negata l'agibilità a priori.

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