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Intervista ai Boys Parma dopo l'omicidio di Gabriele Sandri

19 - 11 - 2007

Di seguito pubblichiamo un'intervista fatta al Gruppo dal giornalista Antonio Boellis. Pubblicata (senza alcun tipo di censura) sul quotidiano locale "L'Informazione di Parma" in data 19 novembre 2007.

L'intervista ad una settimana dalla morte di Gabriele Sandri lo storico gruppo della curva nord spiega le ragioni di una protesta
Mentalità ultras e norme restrittive
I Boys: «Se si uccide la passione e il calore dei tifosi, si uccide il calcio»

11-11-2007. A poche ore dall'omicidio di Gabriele Sandri i Boys Parma 1977 espongono in Curva Nord lo striscione 'La morte è uguale per tutti' I Boys, il mondo ultras e il caos di questi ultimi giorni dopo la tragica uccisione del tifoso della Lazio Gabriele Sandri. Una lunghissima intervista esclusiva allo storico gruppo ultras del Parma che dal 1977 ad oggi segue i crociati ovunque e comunque. Un'occasione per capire meglio il fenomeno e il pensiero dei tifosi della curva nord. Premi, critiche, disappunti, diffide, contestazioni e violenza... La storia degli ultras è un mix terribile e affascinante allo stesso tempo, che coinvolge centinaia di migliaia di persone in tutta Italia, seppur con modalità e risultati differenti. I Boys sono considerati un gruppo organizzato non a rischio e i fatti gli danno ragione. Critiche ed elogi accompagnano la loro storia; una storia che negli ultimi mesi ha subito pesanti limitazioni, come il divieto imposto dall'Osservatorio del Viminale su striscioni, tamburi e megafoni, antichi strumenti di tifo popolare. Leggi restrittive varate subito dopo la morte dell'ispettore di polizia Filippo Raciti a Catania (il colpevole è ancora impunito), ma che non hanno risolto un bel niente, anzi hanno fomentato ulteriormente lo scontro con le forze dell'ordine. Intanto il calcio si è fermato e gli ultras si sono riuniti. L 'obiettivo comune è riflettere e trovare soluzioni al problema della violenza dentro e fuori gli stadi, anche se le due parti non dialogano mai tra loro, come se ci fosse un muro insormontabile. La sensazione è che la soluzione sia ancora lontana e che le riunioni di questi giorni tra istituzioni e presidenti non siano servite a molto, se non a condannare quanto successo a Bergamo, Roma, Taranto e altrove. Il calcio, insomma, deve fare ancora molta strada e la legge italiana deve dargli un apporto fondamentale, costruttivo e non discriminante. Diversamente saremo punto e accapo. Le morti di Sandri e Raciti devono segnare una svolta.
14-11-2007. Mentre una delegazione dei Boys Parma 1977 è ai funerali di Gabriele Sandri, altri ragazzi del Gruppo appendono lo striscione 'I Boys salutano Gabriele' davanti allo stadio Tardini

E' passata una settimana dall'uccisione di Gabriele Sandri e dagli scontri di piazza tra forze dell'ordine e ultras. Che idea vi siete fatti?
«Ad Arezzo è successo un fatto tragico e gravissimo, come a Catania lo scorso febbraio, e il potere (politico e mediatico) ha cercato di stravolgere la verità per coprire gli errori-orrori dello Stato e dei suoi uomini. Più o meno lo stesso copione di Catania (quando la verità è diventata scomoda) e di tante altre situazioni, non solo calcistiche, incompatibili con uno Stato di diritto.
Le prime bugie dei media parlavano di un morto durante scontri tra tifosi. Solo qualche ora dopo s'iniziava a parlare di colpi sparati dalla Polizia, ma solo in aria, a scopo intimidatorio. Poi, verso il mezzogiorno, cominciava a circolare la "ipotesi" che i colpi sparati dalla Polizia "in aria" potessero aver "inspiegabilmente" colpito il giovane.
I canali ufficiali hanno continuato a negare fino a domenica sera. Ma gli ultras sapevano già tutto, fin dal primissimo pomeriggio. Un ultras inerme (Gabriele Sandri) era stato ammazzato da un agente; i media stavano coprendo tutto; il sistema calcio stava andando avanti imperterrito; e per finire la polizia stava godendo dei suoi soliti privilegi. E allora la rabbia è montata.
Tutto questo, aggiunto al "muro contro muro" che c'è fra ultras e agenti, causato da anni di inutile indiscriminata repressione (per noi) e di totale impunità (per tutti gli altri), ha dato fuoco alle polveri».

I Boys, insieme a numerosi altri gruppi ultras, hanno partecipato ai funerali di Sandri. E' la prima volta che le rivalità tra tifoserie vengono messe da parte, può essere l'inizio di una nuova era?
«Non è la prima volta. Il mondo ultras si fonda sulle rivalità storiche e calcistiche che contrappongono i vari gruppi. Ma è "mondo", quindi "insieme", per quanto riguarda talune caratteristiche comuni ai vari gruppi, moltissimi dei quali condividono la stessa mentalità e vivono le stesse problematiche.
Negli ultimi anni, prima con Progetto Ultrà e poi con Movimento Ultras, ci si è incontrati per discutere sui problemi del tifo, del calcio e sulla repressione. Abbiamo fatto anche due manifestazioni nazionali (una a Bologna e una Milano) con migliaia di ultras. Spesso ci sono state iniziative comuni in varie Curve, anche se i media le hanno oscurate, più interessati a divulgare situazioni negative o a criminalizzare gli scontri tra gruppi (considerati negativamente anche quando svoltisi con lealtà, coraggio e senza atti di teppismo).
Per far sentire il peso del nostro movimento, e far capire a tutti che il tifo organizzato è una parte irrinunciabile del mondo del calcio, sarebbe importante una maggiore collaborazione tra le varie realtà».

La sospensione dei campionati di serie B e C può servire a far riflettere l'intero mondo del calcio? Oppure si tratta dell'ennesima decisione che non cambierà nulla?
«Il lutto e il rispetto non si possono mai posticipare. Si sospendono i campionati dopo una settimana dalla morte di Gabriele, approfittando della sosta (già programmata per la nazionale) della Serie A. Un misero tentativo di salvare la faccia, ma senza disturbare la grande programmazione televisiva (ormai B e C non le guarda più nessuno).
Quello che è accaduto domenica scorsa (a partire dall'omicidio di un ultras inerme) deve far riflettere tutti. Soprattutto lo Stato; chi ha criminalizzato il tifo; chi ha disinformato l'opinione pubblica; chi ha votato e applicato leggi e norme anti-costituzionali contro gli ultras; chi ha sempre offerto impunità agli abusi di potere».

Come giudicate la decisione dell'Osservatorio del Viminale di vietare le trasferte, per le partite del 24 e 25 novembre, agli ultrà di 15 squadre?
«Forse (per assurdo) aveva più senso chiudere gli autogrill. Ma, scherzi a parte, questo difficilmente poteva accadere, visto che la Autogrill SpA è rappresentata nell'Osservatorio del Viminale. L'Osservatorio (composto in larga parta da appartenenti alle forze dell'ordine, da Lega calcio e Figc) può sospendere alcune libertà fondamentali degli italiani, senza neppure essere legittimato dal voto popolare. Un po' come in Birmania. E come a Myanmar le decisioni dell'Osservatorio sono rappresaglie ingiustificate. Colpiscono nel mucchio.
Se prima vietare le trasferte era una scelta estrema, ora sta diventando routine. Di sicuro le pay-tv ne beneficiano, ma gli stadi si svuotano e il calcio sta sopprimendo la passione che lo ha reso popolare.
Siamo solidali con tutte tifoserie che non potranno andare in trasferta».

Considerando tutte le limitazioni che ci sono e la recente campagna mediatica contro il tifo violento, quanto è difficile oggi essere ultras?
«Oggi come oggi è molto difficile essere ultras, ma non solo, è difficile essere tifosi. Ci sono norme senza senso contro il tifo, che proibiscono striscioni e bandiere, e la gente che non frequenta gli stadi conosce gli ultras solamente per come vengono dipinti dalla disinformazione dei media.
Essere dei Boys è per noi una ragione di vita. In questo, nel gruppo, e nella passione per Parma e il Parma, troviamo la forza per non arrenderci».

Torniamo indietro, Parma-Juve: è stata una domenica particolare, per entrambe le tifoserie, ma tra di voi non ci sono stati momenti di tensione come in altre occasioni...
«Non era la domenica per le tensioni, non era nemmeno la domenica per il tifo e per la partita. Era stato ucciso un ultras in trasferta, c'era da fermarsi. Almeno per rispetto».

In questi giorni anche il presidente Ghirardi si è schierato al fianco delle tifoserie organizzate e ha criticato il divieto delle trasferte organizzate. Quale è il vostro rapporto con la società del Parma Fc?
«Dopo Parma-Juventus il presidente Ghirardi, probabilmente in buonafede, ha detto che noi avevamo tifato ugualmente. Non è vero, e lo abbiamo detto e scritto ovunque. Siamo fermamente convinti della nostra scelta, non amiamo le ambiguità, e ci assumiamo le nostre responsabilità.
Con la società non abbiamo rapporti, se non di dialogo. Abbiamo conosciuto il presidente e lo abbiamo invitato ad impegnarsi a favore della libertà di tifo, ad adottare politiche che favoriscano la partecipazione popolare, a salvaguardare i simboli e le tradizioni del nostro Parma. A volte siamo in accordo, a volte no (in particolare quando sono stati aumentati i prezzi dei biglietti).
Speriamo si schieri dalla parte del tifo organizzato anche in Lega Calcio...
Nel tempo, speriamo di trasmettere al Parma (società, giocatori, dirigenti) alcune delle nostre idee, per un calcio diverso. Che sappia tornare a riempire gli stadi».

Dopo la morte dell'ispettore Raciti il governo ha inasprito le leggi contro il tifo violento e ha imposto una serie di limitazioni assurde, ma i risultati sembrano fallimentari. Cosa ne pensate?
«Ancora non si sa chi ha ucciso l'ispettore Raciti. Diciamo che la verità sembra essere molto diversa da quella che volevano farci credere. Rimangono però le leggi-rappresaglia contro tutto il nostro mondo.
Quello che si sa con certezza è che gli stadi sono tra i posti più sicuri del Paese. Più delle autostrade, degli autogrill, delle stazioni, dei centri città, delle stesse abitazioni private.
Tutti i decreti, tutte le leggi speciali, tutte le norme repressive hanno fallito. Bisognerebbe prenderne atto. Gli stadi sono sempre più vuoti, ma soprattutto: la gente sta perdendo la voglia di andare allo stadio.
Si cerca di trasformare il calcio italiano adottando il modello inglese, ma le cose inglesi funzionano in Inghilterra. Qui siamo in Italia, e il "modello italiano" non lo s'inventa a tavolino, c'è già, ed è quello che s'è formato nel corso di un secolo.
Le norme anti-tifo censurano i gruppi ultras e disgregano le curve. Perché le opinioni dei gruppi ultras infastidiscono i potenti, perché l'unità dei tifosi è vista come una forza capace di contrapporsi agli interessi delle società. Ma i divieti per gli strumenti del tifo tradizionali e gli ostacoli alle trasferte, disincentivano l'andare stadio. Su questa strada non c'è futuro. Se si uccide la passione e il calore dei tifosi, si uccide il calcio. E il calcio è già moribondo. Con dirigenti vecchi e riciclati, politici compiacenti, impunità per i corrotti e scandali dimenticati. Con la B al sabato che non la guarda più nessuno, tutte le partite in tv, gli anticipi e i posticipi. Il doping, il calcio-scommesse, calciopoli, e le classifiche stravolte dai fallimenti.
Ma adesso il problema sono gli stadi obsoleti (rifarli è un affare di miliardi). Ah sì, l'altro problema siamo noi».

Cosa ne pensate della privatizzazione degli stadi?
«Siamo totalmente contrari. Gli stadi sono un patrimonio storico, culturale, sportivo e sociale delle comunità nazionali. Ci sono cose che non si possono comprare né vendere.
Per quanto riguarda lo stadio Tardini di Parma deve rimanere dov'è e com'è. Deve continuare ad essere lo stadio della nostra città, e niente altro».

Cosa chiedete al Governo e a chi dovrebbe risolvere i problemi del tifo?
«Gli chiediamo (prima di parlare, giudicare e decidere), di mettere piede in uno stadio. E non in tribuna, arrivando fino alle scale con la loro auto blu. Gli chiediamo di fare la fila per il biglietto nominale, la fila nella zona pre-filtraggio, di provare a portare dentro lo stadio una bandierina, di subire soprusi e abusi di potere.
A chi dovrebbe risolvere questo problema, chiediamo di non continuare a criminalizzare un movimento trentennale, di non tenere in piedi questo muro di gomma che non porta da nessuna parte. Soprattutto gli chiediamo di lasciar libera la gente di tifare e di divertirsi».

Qualcuno ha proposto di sciogliere tutti i gruppi organizzati, come hanno fatto in Inghilterra. Vi sembra la giusta soluzione?
«Ci fa sorridere sentire tirare in ballo l'Inghilterra. Lo fa chi non conosce il movimento ultras italiano né gli hooligans inglesi.
In Inghilterra non hanno mai sciolto i gruppi organizzati, anche perché non hanno mai avuto gruppi organizzati. Comunque, anche se nessuno lo dice, non hanno sconfitto la violenza, l'hanno solamente spostata fuori e lontano dagli stadi, o nei giorni precedenti la partita. E i media inglesi, volutamente, non ne parlano.
Chi va allo stadio solo per cercare lo scontro, ci andrebbe anche senza un Gruppo organizzato alle spalle; non ci sarebbero più i Gruppi (più gestibili) ma tante schegge impazzite».

A Bergamo il presidente dell'Atalanta Ivan Ruggeri ha minacciato di chiudere la curva e i giocatori si sono ribellati pubblicamente contro la violenza degli ultrà. Da questo punto di vista Parma è un'isola felice?
«I tifosi dell'Atalanta si sono ribellati pubblicamente alla più grande delle violenze: l'omicidio.
I giocatori dell'Atalanta hanno già smentito le dichiarazioni attribuitegli, e questo perché la Curva dell'Atalanta è una delle più calde in Italia e da un sostegno alla squadra, in casa e in trasferta, veramente incredibile. L'Atalanta è soprattutto della città e dei suoi tifosi, non solo di Ruggeri. Allontanare amore e passione dallo stadio non è soltanto ingiusto, è uccidere il calcio.
Parma non è un'isola felice, è solamente un'altra realtà, una piazza diversa.
Il vetro rotto di Bergamo ha destato molto scalpore. O meglio: è stato utilizzato per provocare indignazione (nonostante nessuno sia rimasto ferito), affinché non si parlasse di un altro vetro rotto. Quello infranto da un proiettile dello Stato, sparato sull'A1, che ha spedito al Creatore un tifoso».

Com'è il vostro rapporto con le forze dell'ordine?
«Non ci sono rapporti particolari.
Abbiamo fatto anni senza insultare le forze dell'ordine e, solo ultimamente, visti i continui soprusi, abbiamo ripreso con una certa frequenza, ma ciò non vuole dire che manchiamo di rispetto ai singoli agenti. Parma non è una metropoli, ci si conosce tutti non è difficile vedere un'agente al bar o in giro per le strade di Parma e l'odio non porta da nessuna parte. Abbiamo cercato di usare il cervello, di non fare di tutta l'erba un fascio (cosa che invece succede dall'altra parte). Sappiamo che ci sono reparti mobili molto più inclini alla violenza rispetto ad altri, per questo ci sono situazioni dove c'è da stare più in "campana" rispetto ad altre, ma non siamo d'accordo con chi definisce il poliziotto "il primo nemico". Il primo nemico è chi ci mette l'uno contro l'altro».

Domenica sarete all'Olimpico per Lazio-Parma, ma con quale spirito?
«Ormai i nostri diritti sono alla merce dell'Osservatorio, e questo non ha ancora deciso se potremo seguire il Parma, o meno. Se andremo, ci andremo a testa alta, anche se un po' preoccupati del trattamento che potremo ricevere dalle forze dell'ordine. Senza nessun strumento del tifo sarà difficile divertirsi».

Infine un po' di calcio giocato: questo Parma sembra in ripresa, siete d'accordo?
«Forse sì, anche se i sei punti persi negli ultimi minuti delle ultime partite, potrebbero rivelarsi pesanti a fine campionato. Ci vuole più convinzione, anche se l'atteggiamento ci sembra cambiato in meglio. Vogliamo credere sia anche per la tirata di orecchie che abbiamo dato alla squadra, prima di Parma-Livorno».

«Volevamo aggiungere una cosa. Domenica, con la Juventus, non è stata una bella scena vedere tifosi della stessa squadra mandarsi a quel paese, solo perché c'è chi voleva cantare e chi non se la sentiva. C'era nervosismo, anche noi speravamo in un'altra domenica, speravamo di distribuire le 900 bandierine fatte a mano nelle sere precedenti, speravamo di cantare per il Parma e contro i gobbi, ma purtroppo non è andata così. Qualcuno del gruppo, esagerando, ha sbagliato a offendere le persone che volevano cantare, così come ha sbagliato chi ha offeso noi. Le idee, anche se diverse, vanno rispettate, soprattutto fra tifosi della stessa squadra.
La nostra Curva merita rispetto, così come lo merita il suo Gruppo ultras, sempre in prima linea in ogni cosa. Ci hanno tolto i megafoni per impedirci di comunicare e di capirci, al fine di disgregarci. Li batteremo solo se resteremo uniti.
Viva il Parma viva i Boys!»

BOYS PARMA 1977

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