L'Ultras paga sempre, anche economicamente
10 - 03 - 2007
Negli ultimi tempi c'è un gran parlare di quanto costa allo Stato mantenere l'ordine pubblico per le partite, almeno quelle più importanti. Ma quanto incassa questo Stato, direttamente ed indirettamente, da chi va alla stadio? Ultras e tifosi comprano i biglietti (dai prezzi stratosferici) e gli abbonamenti, consumano in bar, ristoranti e autogrill. Pagano per volare, per spostarsi con auto e pullman. Pagano i biglietti delle autostrade, quelli del treno (aumentati ancora), e la benzina. Pagano per fare striscioni e bandiere, per realizzare sciarpe e adesivi, per acquistare torce e fumogeni. E ogni qualvolta pagano, per la propria passione, lo Stato guadagna.
Migliaia di persone che si radunano allo stadio, possono anche essere un problema per l'ordine pubblico. Ma sono innanzitutto una risorsa, umana ed economica. Lo Stato spende alcuni denari per garantire la sicurezza, ma sono molti di meno rispetto a quelli che incassa dalla passione di Ultras e tifosi.
L'aver chiuso gli stadi, de facto, ha permesso d'abbattere le spese per la gestione dell'ordine pubblico in occasione delle manifestazioni sportive. Tagliando i costi e potendo mantenere invariate molte entrate (spese già effettuate ad inizio stagione) i conti non possono che migliorare, ma solo nell'immediato. Ma poi? Politiche che alienano Ultras e tifosi dallo stadio, che privano le Curve della loro funzione sociale aggregativa, che usurpano lo spettatore-pagante di diritti già economicamente acquisiti, che vìolano tradizioni centenarie, che criminalizzano migliaia di giovani, che sospendono i diritti civili allo stadio e nelle zone limitrofe (in senso geografico-temporale), che garantiscono alle forze di polizia impunità, rischiano d'accentuare una tendenza ormai evidente: il calo progressivo degli spettatori-paganti. Tra le tante conseguenze: un gettito minore per lo Stato. Ma ai politicanti interessa il potere, la propaganda, la pubblicità, l'immediato; non lo Stato.