Nuovi stadi: la speculazione travestita da futuro
01 - 10 - 2009
L'articolo che segue, del 30 settembre 2009, è stato scritto da Corrado Zunino per La Repubblica.
Calcio, la febbre dei nuovi stadi un maxi affare da sei miliardi
Da Torino a Firenze, pronti 24 progetti.
I rischi delle operazioni
Non solo impianti sportivi, ma anche hotel, ristoranti, cinema e centri commerciali.
Piani da migliaia di ettari e aree di periferia potrebbero essere stravolte.
Finita l'epoca d'oro dei diritti tv, le società puntano così a salvare bilanci in rosso
ROMA - La terza fase del calcio, l'era dei nuovi stadi, è iniziata. Ieri mattina, ancora un passo avanti con la presentazione dell'impianto della Roma intitolato a Franco Sensi, il presidente dell'ultimo scudetto, il padre di Rosella presidentessa in carica e contestata.
La terza fase, il calcio finanziariamente maturo, nasce per seppellire l'epoca dei diritti tv che, a sua volta, aveva lasciato nel giurassico il lungo evo in cui i club fondavano i bilanci sui biglietti venduti al botteghino. Il calcio maturo dovrà vivere di stadio e con lo stadio, sette giorni su sette, anche la notte. Vivrà di partite viste a ridosso dei giocatori e soprattutto di consumi all'esterno della struttura. Oggi il cliente-spettatore nei vetusti impianti italiani spende 50 centesimi a domenica: l'obiettivo è di arrivare a otto euro, media inglese.
La presentazione di ieri, a Trigoria, è la terza in tre anni. Nel 2007 venne rivelato il plastico del nuovo stadio della Juventus (cantiere oggi a metà dell'opera) e nel 2008 l'Eurodisney della Fiorentina (progetto, questo, da rifare dopo l'intervento della magistratura). L'accelerazione nell'autunno del 2009 dell'As Roma poggia su un evento politico consumato il 23 settembre scorso: alla commissione cultura del Senato è stata approvata all'unanimità la legge sugli stadi, presentata da Pd e Pdl insieme. Prevede una corsia preferenziale per chi costruisce - 10 mesi e arrivano tutti i pareri delle amministrazioni - più venti milioni l'anno per abbattere gli interessi alle società che chiederanno mutui. L'approdo dell'intera operazione è immaginato per l'estate 2016: la Federcalcio conta, grazie a nuovi e più sicuri stadi, di ottenere l'assegnazione dei campionati europei.
Oggi la situazione si presenta come una caccia all'oro, forsennata: 39 club italiani, tutta la serie A, ma anche il Casarano e il Gallipoli, si sono affacciate alla questione stadi. Uno studio presentato in Parlamento parla di un investimento globale e privato da 6 miliardi di euro, quasi il doppio della spesa pubblica ipotizzata per il Ponte di Messina, cinque volte i costi affrontati nel 1990 per i dodici stadi dello scandaloso Mondiale '90. Ventiquattro club hanno già presentato un plastico, un rendering. Scorrendoli, i progetti si scoprono interessanti: vecchie "nuvole" rianimate da archistar come Fuksas e stadi cangianti al sole come quello, appunto, della Roma dell'architetto Zavanella, già autore del nuovo Delle Alpi e di quattro minori.
Lasciati i progetti, però, si scoprono corredi attorno allo stadio da "sacco del Duemila". Un'enorme speculazione travestita da futuro.
Se si prendono i dieci progetti più dettagliati, la somma delle aree interessate ai "nuovi stadi" è pari a 1.920 ettari: metà del territorio, per capire, su cui si produce tutto il vino della Basilicata. Ancora, la volumetria dichiarata dei tre disegni più importanti (Lazio più Roma più Fiorentina in ordine di impatto) è di 4 milioni di metri cubi di costruito, un terzo in più di ciò che si è edificato in Liguria negli ultimi sei anni.
Ecco, lo stadio di proprietà italiano è una buona idea patrimoniale per sanare i bilanci in rosso dei nostri club e un segno architettonico forte della modernità, ma scatena appetiti mai sazi di imprenditori del calcio che si stanno affidando a rentier e palazzinari contando su amministrazioni pubbliche con le casse vuote e la necessità di consenso. Il rischio è lo stravolgimento di ampie aree della media periferia delle metropoli italiane.
Un esempio plateale è il progetto Lazio di Claudio Lotito: ci lavora dal 2004, vuole investirci 800 milioni. Su 600 ettari (la città di Amalfi) di proprietà del suocero Mezzaroma (costruttore) e accatastati come agricoli, Lotito vuole edificare: il nuovo stadio Delle Aquile con quattro ristoranti nei torrioni, tre campi di calcio esterni, uno per il calcio a 5, sei campi da tennis, uno da rugby, uno da football americano, uno per l'hockey su prato e uno per l'arco, un diamante per il baseball, una pista di atletica, quattro piscine, un palazzetto per basket e volley. Poi, gli uffici del club, il museo della Lazio, un centro commerciale su due livelli, un albergo a 4 stelle, parcheggi per 40 ettari e altri 25 ettari per un parco giochi. Sulla collina (che ha vincoli paesaggistici) Lotito immagina una cementata di villette. Per raggiungere questa nuova città a nord di Roma si prevede una nuova stazione, un nuovo svincolo autostradale, un approdo in battello sul Tevere.
Il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, in campagna elettorale aveva promesso due stadi privati ai club della capitale a costo zero per il Comune. Ora è imbarazzato. Il progetto Lotito insiste su un'area a rischio esondazione e il braccio destro di Alemanno, Claudio Barbaro, di fronte a questi volumi si è dimesso.
A Firenze Della Valle vuole costruire anche la downtown dello shopping e un parco a tema che si rifà al calcio fiorentino e ai lanzichenecchi. L'area di Castello, prescelta, è sotto sequestro: la magistratura non ha gradito i precedenti accordi tra il proprietario Ligresti e l'ex sindaco Leonardo Domenici. Il neosindaco Matteo Renzi ripropone la stessa area (a dicembre sarà libera) allargando gli spazi verdi: "In un mese decidiamo e in quattro anni si può fare tutto". Ligresti ha pronte le licenze per le sue case.
Ecco, Maurizio Zamparini allo Zen di Palermo insieme allo stadio vuole costruire il centro commerciale più grosso dell'isola, ramo suo. E a Bologna il costruttore Menarini (Cogei), fallito il progetto Romilia, sta cercando un'altra area e nuovi soci con denaro fresco: a questo gli serve Luciano Moggi, ha promesso al presidente che tirerà dentro l'affare Flavio Briatore.