E Gabriele Sandri sparì dalla bocca dei soloni...
di Antonella Giuli
04 - 12 - 2007
Anche la tragedia della morte del tifoso laziale è stata strumentalizzata per scatenare i soliti e inutili luoghi comuni sugli ultras
Quasi non se ne parla già più. E, tutto sommato, c'è da dire meno male. Dacchè ogni giorno, per giorni, s'è fatta una vera e propria corsa all'ultimo "corsivetto" sulle prime pagine dei quotidiani nazionali, adesso niente di niente. Neanche più una brevina a parlare dell'uccisione di quel figlio di Roma e d'Italia che era Gabriele Sandri, morto ammazzato nel sedile posteriore di un'auto la scorsa domenica 11 Novembre.
I primi giorni subito dopo l'omicidio era tutto un susseguirsi di commenti a suon di comunicati stampa ed "elzeviri" griffati questa o quell'importante firma. Tutti smaniosi di decifrare chissà cosa e di farlo in nome di uno slancio qualunque. Meglio ancora se cavalcato dall'onda sempre-verde dell'analisi del "fenomeno ultras". Quel fenomeno così facile da attaccare soprattutto se qualificato da aggettivi come "teppisti", "facinorosi", all'occorrenza finanche "terroristi".
Eppure Gabriele Sandri, detto "Gabbo", di anni 28, tutto era tranne che un ultras teppista, facinoroso e terrorista. Così come non lo sono i quattro amici che viaggiavano con lui in macchina alla volta della trasferta della SS Lazio e che se lo sono viti freddare nei pressi di Arezzo da un colpo di pistola dell'agente della Polstrada Luigi Spaccarotella, trentaduenne di Varese, ma con origini cosentine. Non lo era, non lo sono, e comunque non è questo il punto. La questione, semmai è che nel giro di una mattinata abbiamo avuto l'ucciso, abbiamo avuto l'uccisore, ma stavolta non il giusto procedimento giudiziario che si meriterebbe chi decide, sia pure in un improvviso impulso di inspiegata follia, di estrarre una pistola e sparare ad altezza d'uomo nelle circostanze che hanno portato Spaccarotella ad aprire il fuoco sulla Mégan Scénic dei cinque tifosi laziali.
Ecco, che fossero tifosi, in realtà, non doveva fregar nulla a nessuno. E invece niente da fare: via libera ai primissimi commenti facili di chi sceglie la via (altrettanto facile) del tiro al bersaglio biancoceleste... Di più: fiato alle trombe e in pompa magna contro gli ultras tout court. Chissenefrega se bianconeri, giallorossi o neroblu. Perchè ormai, nell'arcobaleno delle tifoserie nostre, i nemici sono loro. Capaci di tutto, si pensa. Addirittura di unirsi tra loro, nonostante antiche rivalità, pur di combattere l'avversario in divisa blu e distintivo scintillante. Quello che invece ci fa sentire tutti più protetti quando lo si vede girare di pattuglia a setacciare piazze e vicoli. Meglio ancora quando schierano coi colleghi in tenuta antisommossa di domenica davanti agli stadi, ormai considerati dai supporter in pantofole teatri di guerriglie urbane a cadenza settimanale. Poco importa se picchiettano sul quadricipite i manganelli (capovolti, perché così fanno più male) mentre ti scortano a casa o in trasferta, pronti a colpire indistintamente chicchessia pur di evitare una scazzottata tra tifosi e fare così salvo il loro dovere quotidiano.
Tutto, ma mai il dialogo, purché si debelli la violenza contigua al calcio. Perfino un colpo mortale di pistola va bene, basta pensare che sia stato esploso per "sedare una rissa tra ultras". Quelli che, per carità, il giorno stesso della morte di Gabbo hanno impedito a forza di calci sulle vetrate degli stadi lo svolgimento di questa o quella partita di campionato (ma coma mai a bloccarlo non sono state le autorità, le stesse che lo fermarono dopo la morte a Catania dell'ispettore Filippo Raciti?). Quelli che, di conseguenza, a Roma hanno assaltato con sassi e sampietrini la sede del Coni o il commissariato di polizia di Ponte Milvio.
Quelli che, infine, s'è detto, hanno preoccupato l'intera opinione pubblica in prossimità dei funerali di Gabriele Sandri, tre giorni dopo la sua morte. Per ministri della Repubblica e giornalisti le esequie sarebbero dovute essere "ad alto rischio tensione e violenza".
Perché quella mattina c'erano proprio tutti i capicurva della peggio gioventù da stadio, confluiti in un'unica piazza a rendere l'ultimo omaggio pubblico a Gabbo, uno di loro. E invece, fuori dalla chiesa San Pio X in Balduina, non si sono verificati incidenti. Né cori, né provocazioni contro le forze dell'ordine. Tanta rabbia, questo sì. Ma una rabbia composta, manifestata attraverso continui battimani ultras e ammortizzata dal dolore di una ferita che sì, probabilmente faticherà a rimarginarsi.