22 - 06 - 2006
Molti parmigiani si chiedono perché nessun imprenditore locale sia disposto ad investire nel PARMA Calcio, rilevandone la proprietà. In realtà, seppur in due anni e mezzo ci sono state alcune trattative con imprenditori forestieri, nessuna di questa è andata a buon fine. Chiedersi, quindi, perché nessun imprenditore locale vuole investire nel PARMA Calcio è veramente troppo riduttivo. Nessun imprenditore, parmigiano o non parmigiano, sembra voler comprare la società ducale.
Nell'opinione pubblica, con il trascorrere dei mesi, s'è affermata l'idea che gli industriali nostrani preferiscano investire i loro soldi altrove, come se snobbassero la squadra della loro città.
In generale sembra quasi che s'attenda l'avvento di un imprenditore parmigiano, vero e proprio benefattore, disposto a scialacquare i propri capitali per il PARMA Calcio, incurante del prezzo d'acquisto e del valore effettivo della società. Un imprenditore, magari, nato a Betlemme, omaggiato dai Re Magi, e annunciato da una stella cometa.
Queste aspettative, seppur molto romantiche, non sono realistiche. Chi investe i propri soldi (parmigiano o non parmigiano che sia), generalmente lo fa con oculatezza, soltanto se ha l'opportunità di fare un affare. S'informa sul prezzo d'acquisto, valuta i pro e i contro, stima il proprio guadagno (economico, politico, d'immagine). Trovare un imprenditore che, per far felici tifosi e città, sia disposto a sperperare i propri soldi, è un'eventualità assai remota.
Gli industriali parmigiani (così come tutti gli altri), al dì d'oggi, possono investire i loro denari dove desiderano, a PARMA come a Timbuctu (anche questa è globalizzazione). Qualcuno può obbiettare che i loro guadagni sono il frutto di un lavoro prevalentemente parmigiano, che non è conveniente che una parte della ricchezza prodotta a livello locale finisca altrove, che il PARMA Calcio può dare lustro a tutto il territorio e alla sue attività, ma, giusto o sbagliato che sia (ognuno può pensarla come crede), niente glielo vieta.
Credere che un imprenditore parmigiano non voglia investire nel PARMA Calcio per partito preso è illogico e contrasta con quanto dimostrano i fatti. Calisto Tanzi, per esempio, ultimo proprietario del PARMA Calcio, guidò la società ducale per tantissimi anni.
Qualcuno ha auspicato la creazione di una cordata d'imprenditori parmigiani, ritenendo che il problema principale sia la reperibilità di grandi capitali. Il discorso però non cambia. Una cordata d'imprenditori si forma solo per concludere un affare vantaggioso. Che si crei un'alleanza economica quando non c'è niente da acquistare o quando l'affare che si presenta è palesemente svantaggioso, non è plausibile.
Quando degli industriali non investono i motivi sono molto semplici: o non hanno i capitali necessari, o non è a loro conveniente, o non c'è disponibilità ad accettare i loro denari. Pensare che gli imprenditori parmigiani non acquistino il PARMA Calcio per mancanza di capitali è ridicolo. Non solo, ma se il problema fosse la mancanza di denaro degli industriali della nostra città, non si capirebbe perché il PARMA non sia stato acquistato (in due anni e mezzo) da altri. Viceversa: nessuno, di nessuna città, di nessuna nazione, ha acquistato.
Perché? Perché il PARMA Calcio, probabilmente, non è mai stato in vendita. Ovviamente, questa, è solo un ipotesi. La certezza è che voler vendere il PARMA Calcio, oggi, a 27,5 milioni di Euro, quando è in procinto di cedere gli ultimi giocatori di sua proprietà, significa porlo, de facto, fuori dal mercato. Quindi: teoricamente è in vendita, praticamente... no.
Se qualcuno spera che ci siano forze disposte a spendere 27,5 milioni di Euro, per un bene che non ne vale neppure la metà, o è un illuso o ci prende per il culo.
Certo, per noi, il PARMA Calcio è un bene inestimabile; ci dispiace che sia considerato cedibile e che sia possibile attribuirgli un prezzo in denaro. Però, in questo sistema, le cose stanno così. Se si vuole che qualcuno compri il PARMA Calcio lo si deve vendere ad un prezzo equo. Quando si mantiene una quotazione fuori da ogni logica di mercato, tanto più in un momento non certo felice per il calcio italiano, significa solo che non si vuole vendere. E Bondi e Angiolini, alla faccia di quanto dichiarato, non hanno mai voluto vendere. Un'ipotesi? Forse, ma ci sono due anni e mezzo di prese per il culo (tutte documentabili) che supportano questa tesi.
Gli industriali locali? Conosciamo bene il loro pensiero. L'Unione Industriali, mediante i suoi molteplici mezzi d'informazione, ha tutelato in ogni modo l'operato di Bondi e Angiolini, anche quando apertamente in contrasto con gli interessi della comunità. Probabilmente non c'è l'interesse, né il coraggio, di andare contro i poteri più forti del sistema, anche se in ballo c'è un bene della collettività che ha dato grande prestigio alla nostra terra. Gli interessi dei grandi industriali locali, evidentemente, non coincidono con quelli della città ma con quelli di Bondi e Angiolini.
Bondi e Angiolini hanno fatto sapere di poter gestire un'altra stagione in Serie A. La cosa più preoccupante è che lo faranno come negli anni precedenti, quindi: svendendo quel poco che rimane del patrimonio societario. Il PARMA Calcio, infatti, non ha quasi più giocatori di sua proprietà. Ceduti anche quest'ultimi, il PARMA sarà quasi nullatenente.
A Bondi e ad Angiolini fu affidato il compito di vendere il PARMA Calcio a qualcuno che sapesse tutelarne gli interessi nel tempo. Dopo due anni mezzo: non hanno venduto la società e hanno dilapidato tutto il suo patrimonio. Ci dovevano tutelare... ci stanno per annientare.